Famiglia

L’Italia inchiodata a quei numeri da vergogna

Rispetto agli altri Paesi europei, la nostra spesa per la famiglia è al 50%. Per la prima volta la questione è perlomeno stata messa al centro...

di Maurizio Regosa

In genere funziona così: se lo guardi in faccia puoi capire le ragioni dell?altro. Una regola che ha funzionato anche a Firenze, alla prima Conferenza nazionale sulla famiglia, organizzata sì dal governo ma fortissimamente voluta da Rosy Bindi. Che l?aveva detto subito, nella relazione del primo giorno, e ha avuto ragione: c?era bisogno di rompere il ghiaccio, di abbandonare le contrapposizioni e tornare al confronto. Per individuare insieme strategie efficaci e il più possibile condivise.

La Conferenza è stata un fatto nuovo e importante: nel nostro Paese non c?era mai stata un dibattito pubblico così rilevante e partecipato (circa duemila gli intervenuti), nel corso del quale si è discusso parecchio avanzando molte, moltissime proposte.

Verso il piano nazionale
Era appunto questo l?obiettivo: colmare il ritardo della politica, avviare un nuovo corso per le politiche familiari, riunendo una platea qualificata e avviando un confronto del quale tener conto nella successiva stesura del Piano nazionale per la famiglia e soprattutto nell?elaborazione del prossimo Dpef.

Le questioni sul tappeto ci sono finite tutte: dalle strategie fiscali alla politica per la casa, dagli asili al lavoro femminile, dal congedo parentale al lavoro part time, dalla società interculturale alle diverse fragilità che caratterizzano la famiglia di questo terzo millennio.

Questioni affrontate a Firenze con la diffusa e radicata consapevolezza che queste politiche devono essere specifiche e integrate e soprattutto devono valorizzare la soggettività del nucleo familiare. Non era scontato fosse così.

Ma avere delle proposte e delle idee non significa avere un programma di azione, che viceversa è fatto di scelte, cioè di una chiara gerarchia delle priorità. Le risorse – lo sanno tutti – sono scarse, la bacchetta magica non ce l?ha nessuno: ragioni in più per «evitare la dispersione, per decidere pochi ma significativi interventi»; come ha suggerito l?economista Paolo Onofri.

Da questo punto di vista, però, la Conferenza non ha prodotto i risultati auspicati. Se non proprio un?agenda per il lavoro dei prossimi mesi, molti si aspettavano indicazioni più stringenti. Che ad esempio emergesse chiara la volontà di raggiungere la media europea per la spesa a favore della famiglia (oggi siamo a un miserrimo 50%). Che si esplicitasse ancor di più il senso del ritardo, che si indicassero tempi più certi accanto alla volontà di fare bene. Anche così si riduce la distanza del Palazzo: mostrandosi consapevoli di un disagio assai diffuso, prendendo sul serio i moltissimi segnali che in queste settimane sono stati lanciati.

Se non ora, quando?
Di sicuro tempo da perdere non ce n?è. Lo conferma il Rapporto annuale dell?Istat: il 14,7% delle famiglie arriva a fine mese con molta difficoltà; il 28,9% fatica a sostenere una spesa imprevista di 600 euro e cioè da parte non ha nulla, o quasi. Un quadro impressionante e da non sottovalutare.

Oltretutto, oggi sembrano esserci le condizioni come si dice politiche: a Firenze si è svolto un dibattito con i diversi partiti di maggioranza e opposizione. Nessuno, almeno a parole, si è chiamato fuori e la proposta del ministro («sulle politiche familiari che richiedono un programma almeno di legislatura, superiamo la contrapposizione governo/minoranza») ha suscitato un interesse vero.

Così come buon riscontro ha avuto l?altra idea, quella di creare con tutti i soggetti interessati un?alleanza per la famiglia. Peccato per la risposta deludente di Confindustria e Confcommercio, di fronte alla quale viene da chiedersi: perché non chiamare in causa con più forza l?impresa sociale? Quanto tempo ci vorrà ancora per accoglierla nell?orizzonte culturale e per coinvolgerla in tutte quelle scelte che vanno fatte in nome del bene comune?


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